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domenica 18 settembre 2011
giovedì 15 settembre 2011
Lampedusa. Avamposto di umanità.
Il presidente dell’Azione Cattolica Italiana, Franco Miano, si è recato il 13 settembre in visita a Lampedusa nella settimana di preparazione della festa della Madonna di Porto Salvo per prendere coscienza diretta dei luoghi che hanno visto passare migliaia di uomini e donne immigrate. “Lampedusa è isola solidale, ma non può essere lasciata sola”, ha detto Miano: “La sua gente generosa e solidale deve essere sostenuta nello sforzo quotidiano dell’accoglienza ai molti che quasi ogni giorno si presentano sulle sue coste in fuga dalla guerra o dalla fame”.
All’inizio del nuovo anno pastorale, Lampedusa e la sua gente hanno offerto all’Azione Cattolica Italiana un punto di osservazione privilegiato per provare a leggere la complessità del momento presente.
Al centro del Mediterraneo, avamposto dell’Europa, Lampedusa è porto d’approdo per chi proviene dalle coste africane. Gli sbarchi continui hanno acceso ancora una volta una luce su quanto accade sulle coste del Maghreb, sulla domanda di libertà e rinnovamento che è stata formulata con forza in quelle terre e sulle sfide che la “primavera araba” pone all’Europa.
Il panorama politico è in rapida evoluzione, si delineano soggettività che reclamano una politica estera indipendente, governi che appaiono molto meno controllabili dai Paesi occidentali ma al tempo stesso potenzialmente interessati ad una interlocuzione privilegiata con l’Europa, alla quale i Paesi arabi sono legati da profonde radici storiche e culturali, da stretti rapporti commerciali e da una fitta rete di relazioni personali.
Intanto, i giovani arabi che lasciano le coste africane per raggiungere l’Europa, e i loro compagni di viaggio che provengono dai Paesi a Sud del Sahara, ci costringono a domandarci se esistono alternative al viaggio, se esiste un modo per evitare lo scandaloso tributo di vite umane preteso dal mare, se è possibile istituire vie d’accesso meno pericolose, se è possibile rendere finalmente efficace la cooperazione internazionale, se occorrerà aspettare ancora a lungo per vedere raggiunti gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Lampedusa e la sua gente non spingono il nostro sguardo soltanto verso l’Africa: gli sbarchi, i sopravvissuti, i morti annegati, la ricerca di una vita buona che anima ogni viaggio, conducono ad una riflessione sulla totalità della nostra esistenza, chiamando in causa l’identità profonda del nostro Paese e dell’Europa intera.
Nonostante la tendenza ad una “burocratizzazione” degli interventi in tema di immigrazione, che accomuna soprattutto i Paesi del Sud Europa, il fenomeno migratorio - ormai strutturale - sta plasmando le comunità e i tessuti sociali, interrogando i valori della nostra civiltà.
La sofferenza di uomini e donne che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo sta agendo sulla nostra storia e può fecondarla mostrando una via d’accesso all’autenticità dell’uomo.
La gente di Lampedusa ha ritrovato la propria umanità negli uomini e nelle donne accolti al porto, per questo si è commossa ed ha scelto liberamente di intervenire.
E’ una esperienza che ancora una volta richiama l’Azione Cattolica alla sua responsabilità educativa, affinché sia curata adeguatamente la formazione di coscienze capaci di muovere – e commuovere – al bene dell’uomo, sostenendo i percorsi di dialogo e confronto a servizio dell’integrazione senza cedere alla tentazione di un arroccamento attorno ad una identità difensiva costruita rimarcando le differenze. D’altro canto, occorrerà evitare di scivolare in un assistenzialismo che non dia ragione della piena dignità della persona, privilegiando invece la sua partecipazione significativa e la costruzione di un progetto condiviso.
All’inizio del nuovo anno pastorale, Lampedusa e la sua gente hanno offerto all’Azione Cattolica Italiana un punto di osservazione privilegiato per provare a leggere la complessità del momento presente.
Al centro del Mediterraneo, avamposto dell’Europa, Lampedusa è porto d’approdo per chi proviene dalle coste africane. Gli sbarchi continui hanno acceso ancora una volta una luce su quanto accade sulle coste del Maghreb, sulla domanda di libertà e rinnovamento che è stata formulata con forza in quelle terre e sulle sfide che la “primavera araba” pone all’Europa.
Il panorama politico è in rapida evoluzione, si delineano soggettività che reclamano una politica estera indipendente, governi che appaiono molto meno controllabili dai Paesi occidentali ma al tempo stesso potenzialmente interessati ad una interlocuzione privilegiata con l’Europa, alla quale i Paesi arabi sono legati da profonde radici storiche e culturali, da stretti rapporti commerciali e da una fitta rete di relazioni personali.
Intanto, i giovani arabi che lasciano le coste africane per raggiungere l’Europa, e i loro compagni di viaggio che provengono dai Paesi a Sud del Sahara, ci costringono a domandarci se esistono alternative al viaggio, se esiste un modo per evitare lo scandaloso tributo di vite umane preteso dal mare, se è possibile istituire vie d’accesso meno pericolose, se è possibile rendere finalmente efficace la cooperazione internazionale, se occorrerà aspettare ancora a lungo per vedere raggiunti gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Lampedusa e la sua gente non spingono il nostro sguardo soltanto verso l’Africa: gli sbarchi, i sopravvissuti, i morti annegati, la ricerca di una vita buona che anima ogni viaggio, conducono ad una riflessione sulla totalità della nostra esistenza, chiamando in causa l’identità profonda del nostro Paese e dell’Europa intera.
Nonostante la tendenza ad una “burocratizzazione” degli interventi in tema di immigrazione, che accomuna soprattutto i Paesi del Sud Europa, il fenomeno migratorio - ormai strutturale - sta plasmando le comunità e i tessuti sociali, interrogando i valori della nostra civiltà.
La sofferenza di uomini e donne che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo sta agendo sulla nostra storia e può fecondarla mostrando una via d’accesso all’autenticità dell’uomo.
La gente di Lampedusa ha ritrovato la propria umanità negli uomini e nelle donne accolti al porto, per questo si è commossa ed ha scelto liberamente di intervenire.
E’ una esperienza che ancora una volta richiama l’Azione Cattolica alla sua responsabilità educativa, affinché sia curata adeguatamente la formazione di coscienze capaci di muovere – e commuovere – al bene dell’uomo, sostenendo i percorsi di dialogo e confronto a servizio dell’integrazione senza cedere alla tentazione di un arroccamento attorno ad una identità difensiva costruita rimarcando le differenze. D’altro canto, occorrerà evitare di scivolare in un assistenzialismo che non dia ragione della piena dignità della persona, privilegiando invece la sua partecipazione significativa e la costruzione di un progetto condiviso.
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